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Immagine del redattoregianluca baronchelli

Cilento, paesaggi senza tempo


Il Tempio di Nettuno e il Tempio di Hera


A Paestum la prima volta ci dovresti arrivare al crepuscolo. I tre templi dorici si parano davanti all’improvviso, maestosi e silenti, si stagliano illuminati di giallo mentre la notte li avvolge progressivamente, vicinissimi alla strada eppure immersi in un contesto agreste di pace e tranquillità assolute. È il modo migliore per prendere contatto con l’antica Poseidonia, fondata dai coloni greci di Sibari verso la fine del VII secolo a.C., passata ai Lucani due secoli dopo col nome di Paistom e diventata Paestum, colonia romana, nel 273 a.C. Paestum è considerata la città della Magna Grecia meglio conservata, e dopo aver stregato per secoli i viaggiatori del Grand Tour continua a rivelare i suoi segreti anche ai viaggiatori di oggi grazie a un ricchissimo museo, ai rinnovati percorsi di visita, agli eventi e soprattutto agli scavi che non si sono arrestati nella semplice contemplazione e conservazione di ciò che già era stato scoperto. Sotto la direzione di Gabriel Zuchtriegel, vulcanico e preparatissimo archeologo tedesco, il parco archeologico di Paestum è cambiato molto – e bene – negli ultimi anni. Bisogna prendersi tutto il tempo necessario per visitarlo, passeggiare tra i templi, soprattutto entrarci.


Il Tempio di Nettuno a Paestum


Sì, perché a Paestum è possibile farlo: è possibile rivivere le suggestioni di Goethe e di Piranesi, passeggiare in solitudine nella Basilica, nome settecentesco del tempio in realtà dedicato a Hera, regina degli dei e moglie di Zeus, oppure tra le colonne in travertino del tempio di Nettuno, che cambiano colore a seconda della luce e dei momenti della giornata. Solo entrando ci si rende conto della grandezza e della maestosità di questi giganti, e si ha anche una nuova percezione del paesaggio circostante: la piana del Sele che va a tuffarsi nel mare da qui appare diversa, e si percepisce quanto i templi greci dialogassero con il paesaggio circostante e come non ci fossero realmente un “dentro” e un “fuori” ma una permeabilità continua. Attraversate il foro romano, l’anfiteatro e l’agorà greca per trovarvi davanti al tempio detto di Cerere, in realtà dedicato ad Athena, la dea della guerra e della conoscenza, come attestato dagli scavi più recenti. Imprescindibile è anche una visita al Museo Archeologico Nazionale, con gli affreschi della tomba del Tuffatore: la scena che ha dato il nome alla tomba è riportata sul lato interno della lastra di copertura, proprio sopra al defunto: il tuffo plastico del giovane uomo raffigurato su una delle lastre della tomba scoperta nel 1968 e risalente al VI-IV secolo a.C. raffigura in modo commovente e simbolico il gesto di trapasso dal mondo dei vivi a quello dei morti. Un tuffo deciso, all’apparenza senza paura e senza rimpianti.


Il Museo Archeologico Nazionale di Paestum


Terminata la visita al museo, è buona idea tuffarsi alla scoperta dei sapori del luogo: su tutti il tondo di Paestum (Igp), carciofo tenerissimo, e soprattutto la mozzarella di bufala (Dop). La zona è ricca di caseifici e masserie, la qualità è altissima ovunque, e ovunque cascherete bene. Scordatevi l’omologazione del sapore: ogni azienda ha la sua anima e la sua interpretazione della mozzarella. Il consiglio non può che essere quello di assaggiarne molte. Una delle migliori masserie è sicuramente Lupata: una struttura piccola e raccolta dove il tempo si è fermato, adagiata sulle mura antiche di Paestum in prossimità della Porta Marina: qui potete trovare la ciliegina da 20 grammi, il bocconcino da 50 e da 100 grammi, la classica pezzatura da 250. E, ancora, l’aversana da 500 grammi e la treccia… tutto anche nella splendida variante affumicata, rigorosamente ottenuta con l’antico metodo della bruciatura della paglia. E poi, naturalmente, la ricotta, sempre di bufala, e lo yogurt. Regalatevi una pausa, prima di rimettervi in viaggio, all’ombra del porticato colonico, e lasciate correre lo sguardo lungo le antiche mura dei coloni sibariti.



Roccadaspide


Due sono le opzioni per raggiungere Teggiano e Padula partendo da Paestum: la più tranquilla, ma meno suggestiva, E 45 che passa da Battipaglia ed Eboli, oppure la panoramica SS166: opto per quest’ultima, il ritmo lento è imposto da curve, dolci tornanti e paesaggi arcani, dove gli ulivi lasciano progressivamente spazio ai castagneti salendo verso Roccadaspide, abbarbicato su uno sperone panoramico e dominato dall’omonimo castello edificato da Federico II di Svevia attorno al 1245, oggi proprietà privata e dunque visitabile solo da fuori, con le sue poderose torri angolari cilindriche.



Bellosguardo


Da Roccadaspide proseguo in direzione Bellosguardo che, con un nome così, non può certo deludere. Ci si arriva immergendosi in un paesaggio di pini marittimi, pini d’Aleppo, cerri e querce. Dal borgo dominerete la valle del Calore Salernitano, e merita una visita la chiesa di Santa Maria delle Grazie, risalente probabilmente alla prima metà del XVI secolo, che custodisce un affresco raffigurante la deposizione di Cristo con influssi di scuola giottesca. L’adiacente convento dei padri minori di San Francesco ha ospitato, tra gli altri monaci, anche Fra’ Lorenzo Ganganelli, divenuto poi Papa con il nome di Clemente XIV.


Teggiano


Dopo Bellosguardo i panorami progressivamente cambiano, l’ulivo fa nuovamente la sua comparsa, e dopo una cinquantina di chilometri e un’ora scarsa di automobile Teggiano si svela in tutto il suo fascino. È uno dei borghi più caratteristici del Cilento, dichiarato patrimonio Unesco, affascinante compendio di epoche passate: si sviluppa ancora attorno agli originari cardo e decumano dell’epoca romana, e l’impianto viario è pressoché invariato dal medioevo: è bello perdersi senza paura nel dedalo di viuzze, vicoli e scale, e rinfrescarsi nella cattedrale di Santa Maria Maggiore e San Michele Arcangelo – non prima di aver ammirato il portale di Melchiorre di Montalbano risalente al 1297 - e nella chiesa della Santissima Pietà, per poi raggiungere il castello normanno che fu dei principi di Sanseverino, oggi castello Macchiaroli, aperto e visitabile in occasione di eventi, banchetti, mostre e convegni, oppure su appuntamento.



La Certosa di San Lorenzo a Padula


Una quindicina di chilometri ci conducono alla certosa di San Lorenzo a Padula, dal 1998 Patrimonio dell’Umanità Unesco. È il più vasto comprensorio monastico del sud Italia, e uno dei maggiori in Europa: i numeri concorrono a rendere l’idea della maestosità del luogo: oltre 51.000 metri quadrati di superficie, con 15.000 metri dedicati solamente al chiostro grande; più di 300 sale e stanze, 13 cortili, 41 fontane e quasi 3 chilometri di corridoi. Eppure, una volta varcato l’ingresso, tempi e distanze si annullano, e si entra in una dimensione intima, rarefatta, ove arte e spititualità si fondono. Tante, tantissime le cose da vedere e da segnalare in questa certosa, iniziata nel 1306 per volere di Tommaso II Sanseverino, barone di Marsico e nipote di Tommaso d’Aquino, e ampliata, riadattata e modificata sino al XIX secolo.


Lo scalone ellittico a doppia rampa della Certosa


Sta proprio in questo, forse, il suo fascino maggiore: impianto trecentesco, strutture cinquecentesche, stucchi seicenteschi, affreschi del Settecento, statue barocche, altari in scagliola e madreperla ottocenteschi: quello che potrebbe essere un corto circuito per la vista si rivela invece un miracolo di armonia, di storia e di storie. Anche qui, come a Paestum, il consiglio non può che essere quello di prendervi tutto il tempo che il luogo merita, lasciando piedi e testa liberi di vagare, di percorrere sale, chiostri e le due splendide scale, quella elicoidale che conduce alla biblioteca e lo scalone ellittico a due rampe immaginato e realizzato dall’architetto e ingegnere Gaetano Barba tra il 1761 e il 1763. La dimensione delle cucine, poi, parrebbe anche dare un qualche fondamento alla leggenda secondo la quale qui venne preparata una frittata da mille uova per le truppe di Carlo V di Spagna, di ritorno dalla vittoriosa battaglia di Tunisi.



Le grotte di Pertosa-Auletta


Dopo tanta magnificenza, dopo tanto ingegno degli uomini, è forte il bisogno di ritornare alle meraviglie della natura: il Cilento non delude nemmeno da questo punto di vista, e l’ultima tappa del viaggio sono le grotte dell’Angelo a Pertosa – Auletta. Si snodano per circa tre chilometri sotto il massiccio degli Alburni, nel versante settentrionale del Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano. Il percorso di visita, che non presenta alcuna difficoltà tecnica ed è dunque alla portata di tutti, si sviluppa attraverso le cavità carsiche illuminate in maniera altamente scenografica con fibre ottiche e led di ultima generazione e si svolge parte a piedi e parte con una barca, manovrata a braccia da uno speleologo della fondazione MidA, novello Caronte che mi accompagna e mi guida tra stalattiti, stalagmiti, fiabesche concrezioni e cascate. Nulla qui, per fortuna, ricorda l’inferno dantesco. E alla risalita non ci sono le stelle, ma il caldo, bellissimo sole del Cilento.


[testi e fotografie © Gianluca Baronchelli / In Viaggio - 2021]

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