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Napoli sotterranea

Aggiornamento: 15 giu 2020


Metropolitana di Napoli, stazione Toledo - l'installazione di Bob Wilson © Gianluca Baronchelli

Metropolitana di Napoli, stazione Toledo - l'installazione di Bob Wilson

Dalle cisterne e acquedotti del IV secolo a.C. a una delle metropolitane più belle d’Europa, passando attraverso un teatro romano, cripte e cimiteri carichi di pathos, suggestioni e leggende; ancora, rifugi antiaerei e coltivazioni di basilico… La Napoli sotterranea incanta, vive e continua ad accompagnare napoletani e turisti alla scoperta di un genius loci antico, eppure ricco e pulsante come non mai. Un viaggio per immagini nella città sommersa, ove tutto ebbe inizio più di 2.400 anni fa.

Piazza San Gaetano a Napoli © Gianluca Baronchelli

Piazza San Gaetano

Per visitare acquedotti e cisterne, così come per il teatro romano, si parte dall’attuale piazza San Gaetano, che prende il nome dalla statua fatta erigere dai napoletani come ringraziamento per la cessata peste del 1656. In epoca greca questa era l’agorà, il luogo dove si svolgeva la vita politica, amministrativa e commerciale del tempo. È qui che si affaccia la sede dell’associazione Napoli Sotterranea, ed è qui che incontro Vincenzo Albertini, che ne è il presidente e fondatore. Davanti a un caffè amaro e all’immancabile sfogliatella parte da lontano, Enzo, rievocando i racconti dei suoi nonni, l’esistenza di una rete di cunicoli e gallerie che portava ovunque, sotto la città che tutti conoscevano. Da qui la sua passione, poi diventata professione, per la speleologia urbana. Il racconto diventa storia, in un viaggio a ritroso nel tempo. Il primo acquedotto nacque nella metà del III secolo a.C. per la necessità di trasportare l’acqua da una cisterna all’altra.

Napoli sotterranea: una fitta rete di cunicoli © Gianluca Baronchelli

Una fitta rete di cunicoli

Oltre 100.000 visitatori, ogni anno, partecipano alle visite organizzate nel sottosuolo: 136 gradini ci accompagnano a una profondità di circa 40 metri, con temperature tra 12 e 16 gradi e un tasso di umidità che raggiunge anche il 99%.

Queste cavità, create dai Greci nel IV secolo a. C. per estrarre il tufo, materiale che serviva per la costruzione degli edifici pubblici e privati della città di Napoli, furono successivamente riconvertite per creare un acquedotto, collegando quindi le varie cisterne già presenti con una rete di cunicoli attraverso i quali far passare l’acqua, proveniente da una sorgente alle falde del monte Somma attraverso l’acquedotto della Bolla.

In epoca augustea i Romani ampliarono questo sistema, creando una rete di oltre 400 km di cisterne e cunicoli sotterranei. Dopo oltre 2.000 anni di utilizzo l’acquedotto venne chiuso nel 1885, a seguito di un’epidemia di colera: i liquami infetti erano passati nell’acquedotto, che ovviamente non era intubato, e va considerato anche che il tufo è una pietra estremamente permeabile. Dal 1885 al 1942 divenne una sorta di discarica e di deposito: dai pozzi lasciati aperti in superfice era prassi comune smaltire rifiuti edilizi e materiali di risulta.

Le due bombe sotto il chiostro della chiesa di San Paolo Maggiore a Napoli sotterranea © Gianluca Baronchelli

Le due bombe sotto il chiostro della chiesa di San Paolo Maggiore

Nel 1942 l’esercito decise di usare queste cavità come rifugio antiaereo. Per fare ciò vennero apportate delle modifiche: dapprima la costruzione di scale, poi la creazione di pilastri in corrispondenza dei pozzi per evitare il lancio di bombe, pilastri che dunque non hanno funzione di sostegno perché le cavità hanno forma tronco-trapezoidale, riuscendo a distribuire le forze dall’alto lungo le pareti. Infine, mancando il tempo per asportare tutti i materiali di risulta, il piano di calpestio venne innalzato con uno strato di terreno di quattro metri rispetto a quello originario. Sotto il chiostro della chiesa di San Paolo Maggiore riposano ancora due bombe sulle quali circola una sorta di miracolo: furono lanciate dall’alto, si toccarono ma non scoppiarono.

La striscia di intonaco rosso lungo le pareti risale al periodo greco, era fatta con polvere di tufo, calce e olii vegetali, e serviva a impermeabilizzare le pareti di tufo fino al livello massimo dell’acqua.

Napoli sotterranea: l'estrazione del tufo © Gianluca Baronchelli

L’estrazione del tufo

Il tufo napoletano, con il suo caratteristico colore giallo-ocra, è una pietra vulcanica proveniente dalla zona flegrea, da Baia, Bacoli, Pozzuoli. Utilizzata dai Greci per le sue caratteristiche di porosità, permeabilità ed elasticità, presenta delle fessure naturali utilizzate come base per l’estrazione: vi si inserivano dei cunei di legno, che venivano poi bagnati con acqua; il legno così si allargava, e attraverso martelli, scalpelli e asce si procedeva all’estrazione. I blocchi più grandi venivano destinati all’edificazione delle mura, quelli più piccoli per gli edifici della città, dopo essere stati portati in superficie con un possente sistema a carrucola.


Napoli sotterranea:  La cisterna imperiale © Gianluca Baronchelli

La cisterna imperiale

Un suggestivo e stretto cunicolo da percorrere a lume di candela regala alla sua uscita la vista forse più suggestiva: la cisterna imperiale si svela improvvisa, maestosa, in un silenzio rotto solo dal gocciolio dell’umidità. La pulizia di queste cisterne, in epoca greca e romana, era affidata al pozzaro, una sorta di funambolo, uno “spazzacamino delle acque” che, attraverso buchi sulle pareti chiamati graffiatescendeva a livello dell’acqua e, da lì, in equilibrio su camminamenti senza protezione, si occupava della pulizia… in verità in modo piuttosto rudimentale, posto che veniva eseguita per mezzo di un bastone alle cui estremità era fissato un retino. Oggi, ovviamente, per le cisterne ancora allagate a scopo didattico, è stato messo a punto un sistema a pompe idrauliche di ricircolo e purificazione.

Napoli sotterranea: Gli orti ipogei © Gianluca Baronchelli

Gli orti ipogei

Gli orti ipogei rappresentano il nuovo progetto e la nuova sorpresa di Napoli Sotterranea: a 40 metri di profondità, serre sotterranee che non hanno bisogno di innaffiamento per l’elevato grado di umidità (si raggiunge il 99%), con luce assicurata tra le 6 del mattino e le 20 da un sistema di lampade a timer. Il progetto nasce alla vigilia dell'Expo 2015 dedicato all'alimentazione del Pianeta Terra: un orto nelle viscere della terra che, lontano da piogge acide, polveri sottili, smog e inquinamento protegge le coltivazioni del basilico, il principe della pizza napoletana. Gli spazi degli orti ipogei sono oggi utilizzati anche per mostre e installazioni di arte contemporanea.

Il basso napoletano © Gianluca Baronchelli

Il basso napoletano

Da vico Cinquesanti si accede alla zona dei camerini dell’antico teatro di Neapolis, che poteva contenere più di 6.000 spettatori. La prima sorpresa è che, per visitare la zona dei camerini, bisogna entrare in un tipico basso napoletano, abitazione popolare così chiamata perché è, appunto, a livello della strada. Aveva, di solito, un’unica apertura che fungeva sia da porta, sia da finestra. In genere è costituito da una sola stanza dove si dorme, si cucina e si mangia, e un tempo era abitato da famiglie anche molto numerose. La particolarità è che in questo basso fino a circa 16 anni fa ci abitava tranquillamente una famiglia e la cantina che la famiglia utilizzava, di fatto, erano i camerini del teatro di epoca romana. Tutti gli arredi conservati sono originali: entrare nel vivo di quella che era la tipica abitazione napoletana, che si vede anche in tantissimi film di Totò e nel teatro di Eduardo, e da una botola sotto il letto passare a una realtà archeologica di primaria importanza come il teatro nel quale si esibiva Nerone, regala uno spaccato di vita che mette in relazione epoche diversissime, facendole dialogare in armonia.

Antico teatro di Neapolis: Il corridoio di sottoscena © Gianluca Baronchelli

Il corridoio di sottoscena

Dalla botola posta sotto il letto del basso si accede alla parte più antica del teatro, un tempo colmo di materiali di risulta. E’ un corridoio di sottoscena, lungo 21 metri, che serviva agli attori per passare da una parte all’altra del palcoscenico senza essere visti dal pubblico.

Antico teatro di Neapolis: l'ingresso orientale © Gianluca Baronchelli

L’ingresso orientale

Attraverso il corridoio di sottoscena il percorso si snoda fino a raggiungere l’ingresso orientale: da qui, con un sorriso, ci si rende conto del motivo per cui il teatro non può essere riportato alla luce interamente: ancora oggi ci sono infatti tre famiglie che abitano nell’antico teatro di Neapolis. La finestra della camera da letto di una di queste si affaccia direttamente sull’interno dell’ingresso orientale e non è infrequente per il visitatore trovarla aperta per arieggiare gli ambienti..!

Antico teatro di Neapolis: la zona dell'ingresso orientale © Gianluca Baronchelli

La zona dell’ingresso orientale

Nerone si era convinto di avere una bella voce, di saper cantare bene e di sapere suonare ancor meglio la lira. Nel 64 d.C. decide di esibirsi qui per la prima volta. Narra Svetonio che, durante l’esibizione, ci fu un violento terremoto, e saggiamente gli spettatori presero a riversarsi verso le uscite. Nerone bloccò però le persone in fuga, motivando il terremoto come l’applauso che gli Dei gli stavano tributando per la sua bravura… Non ci è dato sapere quanti ne convinse, a parte, obtorto collo, i circa 2.000 che costituivano la sua claque

Antico teatro di Neapolis: l'ingresso orientale © Gianluca Baronchelli

L’ingresso orientale

Lo stesso ingresso del teatro sbuca in un cortile circondato da palazzi cinquecenteschi, di altezza paragonabile alle antiche gradinate, dalla porzione superiore delle quali si vedeva chiaramente il mare, che in epoca romana raggiungeva l’attuale Corso Umberto I. Panni stesi su un cielo appena più chiaro del mare e bambini che giocano a pallone ci riportano all’oggi, a vico Cinquesanti e alla visita della summa cavea.

Antico teatro di Neapolis: la summa cavea © Gianluca Baronchelli

La summa cavea

L’ultima parte visitabile dell’antico teatro di Neapolis è una porzione della summa cavea, l’anello superiore della gradinata. I lavori di restauro hanno riportato alla luce la tessitura muraria dell’epoca in questo ambiente alto oltre 12 metri che, per lungo tempo, è stato la bottega di un falegname. Dopo il recupero degli arredi originali della falegnameria, è stata allestita una mostra presepiale permanente con 30 scarabattoli del ‘700, epoca d’oro del presepe Napoletano.

Il cimitero delle Fontanelle a Napoli © Gianluca Baronchelli

Il cimitero delle Fontanelle

Situato nel rione Sanità e ricavato da un’antica cava di tufo, ha rappresentato e, per certi versi, rappresenta ancora per il popolo napoletano un importantissimo riferimento sotto il profilo antropologico. Dopo la peste del 1656 divenne un ossario pubblico dove vennero portate le migliaia di morti trovati nelle abitazioni e lungo le strade durante quell’epidemia, e successivamente in occasione di altre epidemie, fino al colera del 1836. I corpi arrivavano su dei carri, e qui venivano scaricati e ricoperti di terra, strato dopo strato. Le stime parlano di oltre un milione di sepolture, su una superficie di 4.000 metri quadrati. Anticamente la cava aveva circa 35 - 40 metri di altezza, ridotta attualmente a 20. Dunque, almeno 15 metri sotto il livello attuale del suolo sono occupati da resti umani stratificati. Iniziato verso la fine dell’800, con la prima guerra mondiale esplose il rito delle anime pezzentelle, il culto dei morti a Napoli: posto che molto difficilmente le salme dei soldati morti al fronte venivano rimpatriate, nacque una sorta di adozione di un teschio ignoto, dettocapuzzella, da parte dei familiari: il prescelto veniva pulito e ricollocato secondo un preciso cerimoniale; ogni lunedì centinaia di donne vestite di nero andavano in processione al cimitero delle Fontanelle. Lì pregavano, chiedevano consigli e grazie, senza dimenticare i numeri del lotto; se il teschio esaudiva le richieste, veniva adottato definitivamente, posto all’interno di una teca o di una scatola, e circondato da candele, rosari e immagini sacre.

Il cimitero delle Fontanelle a Napoli © Gianluca Baronchelli

Incredibile miscellanea di fede, leggende e tradizioni popolari

I teschi venivano sempre sistemati in modo da non guardarsi direttamente perché, se avessero avuto qualche problema tra loro, difficilmente avrebbero esaudito le richieste dei vivi. Le leggende, ovviamente, si sono susseguite, sulle capuzzellepiù famose…dal vendicativo Capitano a Donna Concetta, ‘a capa che suda, fino a donna Margherita, soffocata da uno gnocco. Nel 1969 il cardinale di Napoli impose la chiusura del cimitero, condannando il carattere pagano e profano del rito delle anime pezzentelle. Il resto è storia di oggi: riaperto nel 1985, dopo i lavori di messa in sicurezza dell’ambiente i circa 40.000 teschi sono stati inventariati, puliti e ricollocati esattamente dove stavano grazie alla fotogrammetria.

Una delle lettere ritrovate all’interno dei teschi al cimitero delle Fontanelle a Napoli © Gianluca Baronchelli

Una delle lettere ritrovate all’interno dei teschi

Durante i lavori di ripristino del cimitero delle Fontanelle, Enzo Albertini ha trovato all’interno di alcuni teschi lettere, frammenti e bigliettini risalenti perlopiù ai primi anni Quaranta. Restituiscono uno spaccato di quotidianità struggente, autentica, ora tragica, ora comica: suppliche di notizie per parenti scomparsi, dediche d’amore, richieste di traduzione in tedesco… senza mai dimenticare, ovviamente, i numeri del lotto.

Metropolitana di Napoli, stazione Toledo © Gianluca Baronchelli

Metropolitana di Napoli, stazione Toledo

È la Napoli sotterranea di oggi che pulsa, vive, sposta centinaia di migliaia di persone ogni giorno. Non-luogo per definizione, le principali stazioni della metropolitana di Napoli sono state trasformate in un contenitore d’arte con 200 opere realizzate da 100 artisti contemporanei, mentre la stazione Toledo è stata proclamata nel 2012 dal The Daily Telegraph “Stazione metro più bella d’Europa”. La Napoli sotterranea è più viva che mai.

[testi e fotografie © Gianluca Baronchelli / National Geographic – 2016]

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