top of page
Immagine del redattoregianluca baronchelli

Risalendo il Danubio, sulle orme di Traiano

Aggiornamento: 31 mag 2020


Il Danubio alle Porte di ferro © Gianluca Baronchelli

Il Danubio alle Porte di ferro

La colazione va fatta seguendo usi e costumi locali. Dunque, burek meso (una pasta sfoglia sottilissima, calda e profumata, la yufka, con ripieno di carne mista) e kiselo mleko, un corroborante latte acido salato. Profumo di Balcani e di Danubio, all’alba, sulle tracce dell’imperatore Traiano seguendo per un piccolissimo tratto le orme di Patrick Leigh Fermor, che nel 1933 lascia Londra per raggiungere a piedi, nel 1935, Costantinopoli.… Io invece parcheggio vicino a una Moskvich 1500 verde pisello, molto più a suo agio della mia Citroën sull’erba della riva. Davanti a me il Danubio è placido, di un blu freddo, polveroso e scarico. Segna, oggi come duemila anni fa, un confine. Oggi tra Serbia e Romania, allora era il limesdell’impero romano, che nel periodo della sua massima espansione arrivava alla Tracia (Bulgaria sud-orientale, Grecia nord-orientale, Turchia europea) e alla Dacia. Confine, certamente, ma anche importantissima via di scambio per merci, idee, culture e influenze. Archiviato il burek è l’ora di partire per ripercorrere un tratto di strada, e di storia, in compagnia di Traiano e Decebalo; il primo, geniale imperatore romano, il secondo, suo fiero antagonista e ultimo sovrano dei Daci.

Danubio, la Tabula Traiana © Gianluca Baronchelli

La Tabula Traiana

Siamo nel 96 d.C. Alla morte di Domiziano, il Regno della Dacia continua a rappresentare un pericolo per le province romane lungo il medio e basso corso del Danubio. Traiano, che regnerà tra il 98 e il 117, pianifica con cura una campagna bellica che immagina risolutiva contro il re Decebalo. Prima di portare l'attacco al cuore della Dacia, l'imperatore si preoccupa di rinforzare il sistema di difesa sul confine: restaura le fortezze esistenti e ne costruisce di nuove, come nel caso di Lederata, Pincum, Cuppae, oltre ai forti di Boljetin, Diana e Aquae. Sa, soprattutto, che non si può prescindere da un agile e sicuro sistema di comunicazione, dunque rinnova e amplia la strada che correva lungo il Danubio, la cui costruzione era già stata intrapresa sotto l'imperatore Tiberio (14-37). Il rifacimento o la realizzazione del tratto che attraversa le Porte di ferro, la stretta e tortuosa gola nella quale il Danubio si insinua tra i Carpazi meridionali e i monti Balcani, è attestato dall'iscrizione della gigantesca Tabula Traiana, realizzata nel l00.


 In navigazione lungo il Danubio in Serbia © Gianluca Baronchelli

In navigazione lungo il Danubio

Ne avverto quasi la presenza, una trentina di metri sotto di me, alla base del dirupo dal quale provo ad affacciarmi. Non si vede, non si può vedere, nascosta dal dislivello e dalla vegetazione. Per raggiungerla devo attraversare il confine, risalire il corso del Danubio per una trentina di chilometri e cercare un imbarco a Eselnita, in Romania. Al confine la guardia serba è in vena di scherzi, mi controlla il passaporto e chiede «quanto Kalašnikov in bagagliaio, Ghianluca»? Solo due, gli rispondo… Ride, dice «due no problema, uso personale»! Ricordo tempi purtroppo non lontani, quando gli stessi confini si passavano in ben altro modo.

Ad Eselnita mi attende Sorin con la sua barca da pesca: la navigazione è tranquilla, parole e onde scorrono lente e in venti minuti siamo davanti alla Tabula Traiana.

Danubio, la Tabula Traiana presso le Porte di ferro a Djerdap (100 d.C.) © Gianluca Baronchelli

La Tabula Traiana presso le Porte di ferro a Djerdap (100 d.C.)

«L'imperatore Cesare Nerva Traiano Augusto, figlio del divo Nerva, vincitore dei Germani, Pontefice Massimo, quattro volte investito della potestà tribunizia, Padre della Patria, Console per la terza volta, scavando montagne e sollevando travi di legno questa strada ricostruì»

Il testo è inciso, a imperitura memoria, mentre con la vernice bianca sono scarabocchiati amori contemporanei che gli autori dei graffiti sperano immortali, anche se io e Sorin sospettiamo che i fidanzatini in questione si siano già lasciati…


L’imponente ritratto del re Decebalo, sulla sponda rumena del Danubio © Gianluca Baronchelli

L’imponente ritratto del re Decebalo, sulla sponda rumena del Danubio

Per quasi duemila anni la tabula ha scrutato la riva opposta del Danubio, vedendo solo l’avvicendarsi di generazioni di pescatori e delle piene del fiume, in attesa del ritorno di Decebalo. Fino al 2004, quando è stata inaugurata la gigantesca effige del vecchio re, scolpita nella roccia, proprio dirimpetto alla stele -quasi a beffarda e tardiva vendetta - nella ragguardevole misura di quaranta metri, per l’altrettanto ragguardevole cifra di oltre un milione di dollari, voluta e in gran parte finanziata da Iosif Constantin Drăgan, imprenditore e accademico rumeno. Decebalus rex – Drăgan fecit, recita la scritta alla base.

Danubio, la diga e le centrali idroelettriche alle Porte di ferro © Gianluca Baronchelli

La diga e le centrali idroelettriche alle Porte di ferro

Negli anni sessanta del secolo scorso l'intero blocco di roccia della Tabula Traiana è stato sollevato di quasi 50 metri per salvarlo dall'innalzamento delle acque dovuto alla realizzazione della diga di Djerdap e delle due colossali centrali idroelettriche. La Tabula dunque c’è ancora, ma stessa attenzione non è stato possibile riservare all’isola di Ada Kaleh, proprio davanti alla diga. Enclave turca, conosciuta sin dall’antichità, è stata sommersa nel 1970 insieme alle rovine della sua fortezza, alla sua moschea e al suo dedalo di vicoli, stradine e caffè. Effetti collaterali, non li chiamano così? Riattraverso le Porte di ferro, passo il confine mentre il doganiere allegro è ancora saldo in garitta… «Romania finita? Kalašnikov bene»?

Danubio, parte del pilone in pietra del ponte di Traiano (103-105 d.C.) © Gianluca Baronchelli

Parte del pilone in pietra del ponte di Traiano (103-105 d.C.)

Traiano e Decebalo, dicevamo…

Nella prima campagna militare contro i Daci (1O1-102) Traiano sconfigge Decebalo ma la capitale, Sarmizegetusa, è salva, e il regno dei Daci non capitola. Era chiaro a tutti, però, che la pace non poteva essere che un breve armistizio. Traiano usa la provvisoria tregua per rafforzare il limes danubiano e preparare la seconda campagna. L'iniziativa più importante è la costruzione di un ponte sul Danubio, che colleghi la fortezza di Pontes in Mesia Superiore con quella di Drobeta in Dacia rendendo più agevole l'ingresso nel territorio nemico. Le fondazioni del ponte, progettato dall'architetto Apollodoro di Damasco, lo stesso che realizzò a Roma lo splendido complesso del foro di Traiano, consistevano di ben venti piloni, sui quali poggiava una struttura di legno, stando alla bellissima raffigurazione sulla Colonna Traiana e alle immagini sulle monete dell’epoca. Capolavoro dell’architettura romana, ponte più esteso dell’antichità, misurava circa 1.135 metri in un punto in cui il Danubio era largo 800 metri. Parte di uno dei piloni è ancor oggi visibile, a Kostol, corrispondente proprio al sito di Pontes. Solamente quattordici chilometri lo separano dalle Porte di Ferro, la luce e l’aria tersa lo fanno assomigliare a una sentinella, ancora in pieno controllo della riva e del fiume.

Serbia, le mura esterne della fortezza di Diana © Gianluca Baronchelli

Le mura esterne della fortezza di Diana

Con la vittoria su Decebalo nel 106 e la creazione della provincia della Dacia ha inizio un periodo di pace per i territori lungo il confine danubiano e di prosperità per la Mesia Superiore, che si protrae per quasi tutto il regno degli imperatori Antonini. Dopo gli Antonini, la situazione precipita nuovamente sul limesdanubiano: si costruiscono nuove postazioni, si ripristinano i forti esistenti. È il caso della fortezza di Diana, a metà strada tra il ponte di Traiano e le Porte di ferro. Colpisce, oggi, la pace che si respira visitando il sito, il silenzio rotto solo da qualche stormo di uccelli: nessun turista, un vigilante discreto a qualche centinaio di metri… poche spiegazioni, nessun pannello segnaletico lasciano viva la suggestione che, da un momento all’altro, possa apparire qualche legionario della V Macedonica, VII Claudia, IIII Flavia, XIII Gemina.

Serbia, la fortezza di Diana © Gianluca Baronchelli

La fortezza di Diana

Costantemente occupata e utilizzata come presidio militare per 600 anni in epoca romana, tardoromana e bizantina, più volte danneggiata e ricostruita, la fortezza si estende su una superficie di oltre tre ettari. Era circondata da un importante insediamento e da una necropoli; sistematiche indagini archeologiche hanno permesso l’individuazione, oltre che dei possenti bastioni in pietra ottimamente conservati e delle quattro porte poste sui lati della fortezza (praetoria, decumana, principalis sinistra e dextra), delle strade principali, degli horrea, di un certo numero di forni, officine, servizi igienici, un bagno e vari edifici pubblici, oltre a una cripta sotterranea, destinata a tempio cristiano nella sua ultima fase.

Serbia, Donji Milanovac, l’imbarco del traghetto. Sullo sfondo, la sponda rumena del Danubio © Gianluca Baronchelli

Donji Milanovac, l’imbarco del traghetto. Sullo sfondo, la sponda rumena del Danubio

Risalire il Danubio verso ovest, lungo la via di Traiano, significa attraversare il parco nazionale di Djerdap e le sue gole, dove i Carpazi e i Balcani collidono: da ovest verso est, Sipska Klisura, Mali Kazan, Veliki Kazan, con le sue pareti a strapiombo che si restringono fino a 150 metri, il punto più stretto di tutto il Danubio; poi Gospođin vir, ove il Danubio tocca la sua massima profondità con 82 metri, e infine Golubac. Acque e gole difficilmente navigabili, nell’antichità, e ancora oggi fino alla costruzione della diga a monte: bisogna fare uno sforzo di immaginazione, ora, guardando il placido scorrere delle acque, per immaginare rapide, gorghi, insidie, vortici e pericoli che soldati, uomini e merci erano costretti ad affrontare quotidianamente. Mi fermo a Donji Milanovac: l’imbarco per il traghetto verso la Romania è chiuso, in attesa dei turisti, mentre un paio di pescatori, birra in mano e secchio del pesce ancora vuoto, mi indicano la via per la kafana, o taverna, dove passerò le prossime due ore.

Danubio, la fortezza di Golubač © Gianluca Baronchelli

La fortezza di Golubač

Bussola sempre ad ovest, ancora cinquanta chilometri per la fortezza di Golubač, ingresso e uscita dalle Porte di ferro. Le prime fonti scritte la attestano nel 1335, presidiata dagli ungheresi: certamente più antica, le indagini archeologiche non hanno chiarito, finora, se esistesse già ai tempi dell’impero romano; fa comunque un certo effetto scorrere l’elenco delle potenze che vi si sono avvicendate, in un turbine pressoché continuo di guerre in questo lembo di confine tra oriente e occidente… turchi, bulgari, ungheresi, serbi e austriaci vi issarono le loro bandiere fino al 1867, anno in cui fu consegnata al Knez (principe) serbo Mihailo Obrenović III. Possente esempio di architettura bellica medievale, la fortezza di Golubač è composta da tre gruppi di edifici principali, protetti da 10 torri e due saracinesche, tutti collegati da mura fortificate con profondità variabile dai due ai tre metri. A protezione della fortezza un doppio muro con un fossato, quasi certamente riempito d’acqua mentre era viva la sua funzione difensiva.

Come nel caso di altre fortezze, anche la struttura di Golubač ha subito modificazioni e rimaneggiamenti nel corso dei secoli. Originariamente contava solo cinque torri, alle quali se ne sono aggiunte altre quattro. Tutte le torri sono di forma quadrangolare, segno che le battaglie venivano combattute con armi bianche. Una volta che le armi da fuoco entrarono in funzione, i turchi, allora in possesso della fortezza, fortificarono le torri occidentali, mentre dopo l’attacco ungherese del 1481 venne aggiunta la decima e ultima torre, completa di cannoniere e gallerie.

Smederevo, la fortezza sulla Sava © Gianluca Baronchelli

Smederevo, la fortezza sulla Sava

Mi lascio alle spalle le Porte di ferro, in questo tratto non è più possibile seguire il corso del Danubio. Decido di non assecondare il navigatore che consiglia la via più breve; meravigliose e arcaiche strade secondarie, traballanti ponti di legno e paesaggi disegnati solo da pietra, terra e cielo mi portano a Smederevo, l’antica Semendria, sorta sulla rotta che andava da Singidunum a Viminacium. Le prime testimonianze storiche di Smederevo risalgono al 1019. La sua importanza cresce in tutto il medioevo fino a quando nel 1427 diviene, per un breve periodo, la nuova capitale dello stato serbo. Il despota Stefan Lazarević è schiacciato dai turchi a sud e dagli ungheresi a nord, ma riesce comunque a resistere; non così il suo successore, Djurad Brancović, che deve cedere Belgrado al Regno di Ungheria. Bisogna dotare immediatamente la nuova capitale di una poderosa fortezza. In poco più di un anno viene terminato l’ultimo capolavoro dell’architettura serba del periodo, una delle maggiori fortezze medievali d’Europa. Il castello, di forma triangolare, ha un perimetro di oltre un chilometro e mezzo, venticinque grandi torri con cinque porte, due bastioni e un profondo fossato. Le mura del mastio a nord hanno una profondità di circa cinque metri.

Smederevo, le torri della fortezza © Gianluca Baronchelli

Smederevo, le torri della fortezza 

Oggi, tra chioschi di birra, spettacoli musicali e artisti improvvisati è facile trovare gli abitanti di Smederevo che passeggiano all’interno della fortezza tra chiacchiere e risate, ma la sua costruzione è costata un tributo immane in termini di vite umane, e molte sono le leggende che l’hanno accompagnata fino ad oggi: da quella secondo la quale i contadini, maestranze improvvisate, furono costretti a fornire migliaia di uova da mescolare nel mortaio per fissare ancor più saldamente le pietre della fortificazione, a quella che riguarda il leggendario tesoro della crudelissima moglie di Djurad Brancović, Jerina prokleta, la Maledetta, che si dice ancora sepolto qui, da qualche parte. Io non l’ho trovato, ma uscendo da qui mi pare quasi che le poderose torri, giunte fino a noi nonostante le profonde crepe e i segni del tempo e delle guerre, vogliano indicare qualcosa al di là del fiume, inclinate come sono verso il Danubio, come a volercisi tuffare.

Sirmium, il palazzo imperiale © Gianluca Baronchelli

Sirmium, il palazzo imperiale

Da Smederevo gli ultimi 140 chilometri mi portano a Sremska Mitrovica, l’antica Sirmium, capitale dell’Illirico occidentale, adagiata sulla Sava, uno dei maggiori affluenti del Danubio. L’insediamento esisteva prima della conquista romana della Pannonia, quando questa era abitata dalle comunità native degli Amantines e dei Sirmiensis, da cui prende poi il nome la città. La sua storia inizia già al tempo dei Flavi (I sec. a.C. – I sec. d.C.) e termina con la conquista da parte degli Avari nel 582. Al centro della provincia della Pannonia Secunda, dopo la riforma di Diocleziano (dopo il 293) diventa una delle principali città dell’impero romano. Sono sopravvissuti alle distruzioni altomedievali numerosi edifici, fra cui i resti del complesso del palazzo imperiale, del quartiere artigianale e commerciale e la villa urbana all’interno del centro storico della città moderna. Sirmium era il centro della diocesi e il luogo dove morirono molti martiri cristiani, il cui culto si è mantenuto in parte nel periodo medievale. I resti del luogo di culto giunti fino a noi risalgono alla prima metà del V secolo; la basilica era dedicata a San Demetrio, il più celebre santo di Sirmium e il protettore della città di Sremska Mitrovica.

Una delle sale della mostra “Tesori e imperatori. Lo splendore della Serbia romana” ad Aquileia © Gianluca Baronchelli

Una delle sale della mostra “Tesori e imperatori. Lo splendore della Serbia romana” ad Aquileia: da sinistra a destra testa in bronzo del padre di Traiano, testa in marmo dell’imperatore Albino, testa in bronzo dell’imperatore Macrino e testa in marmo dell’imperatore Caro

Sto ripercorrendo l’antica strada romana che collegava il Mar Nero alla penisola italiana, attraverso le odierne Serbia, Croazia e Slovenia. Da Viminacium a Smederevo, da Sirmium a Emona, l’attuale Lubiana. E allora, prossima tappa non può che essere Aquileia, dove fino al 3 giugno la mostra “Tesori e imperatori. Lo splendore della Serbia romana”, organizzata dalla Fondazione Aquileia, ci fa ripercorrere seicento anni di storia in un lungo viaggio sulle tracce dell’impero romano, dalla sua espansione al suo crepuscolo, quando il limesnon regge più all’invasione dei barbari, in particolare gli Unni, gli stessi che, guidati da Attila, metteranno a ferro e fuoco anche Aquileia.

Proprio al Danubio – non poteva essere altrimenti - è dedicata la prima sala della mostra, che ne rievoca gli scenari grazie a un’installazione multimediale di suoni e immagini. L’allestimento si sviluppa poi attraverso sessantadue eccezionali reperti provenienti dal Museo Nazionale di Belgrado, dal Museo Nazionale di Zajear e di Niš e dai Musei di Požarevac, Novi Sad, Sremska Mitrovica e Negotin, oltre a un calco storico della Colonna Traiana (1861) prestato dal Museo della Civiltà Romana.

I tre elmi da parata in mostra ad Aquileia: in primo piano, quello proveniente da Berkasovo, in argento, oro e pasta di vetro © Gianluca Baronchelli

I tre elmi da parata in mostra ad Aquileia: in primo piano, quello proveniente da Berkasovo, in argento, oro e pasta di vetro

I reperti in mostra ci raccontano un territorio in cui nacquero ben 17 o 18 Imperatori, da Ostiliano a Costanzo III, passando attraverso Costantino il Grande. Alcuni manufatti sono da annoverare tra le più significative creazioni artigianali o artistiche dell’epoca: i tre elmi da parata ci restituiscono tutto il solenne cerimoniale dell’esercito romano; in particolare l’elmo ritrovato a Berkasovo, dorato e tempestato di elementi in pasta vitrea multicolore a imitazione delle pietre dure, è un vero e proprio capolavoro di artigianato artistico. La stessa magnificenza si ritrova nelle eccezionali maschere da parata in bronzo rinvenute lungo la mai tranquilla frontiera.

Bellissima la testa di Venere ritrovata a Sirmium nel 2003 durante gli scavi nel cortile a peristilio con una fontana in marmo, che ci riporta alla regalità del palazzo-circo divenuto una delle residenze di Costantino il Grande. La statua di Venere era stata portata lì da Costantino o dai suoi successori per propaganda politica, per riproporre i valori della Roma Aeterna. Allo stesso scopo varie rappresentazioni di Costantino cominciano ad apparire sulle monete e sugli oggetti d’arte, la sua immagine è raffigurata con un diadema, con il capo leggermente inclinato all’indietro, lo sguardo verso il cielo. Splendida la testa in porfido rosso dell’imperatore Galerio proveniente da Gamzigrad, dove il ritrovamento di un archivolto con l’iscrizione FELIX ROMVLIANA ci indica chiaramente il luogo ove sorgeva il palazzo eretto da Galerio.

Tramonto sul Danubio alle Porte di ferro © Gianluca Baronchelli

Tramonto sul Danubio alle Porte di ferro

Ripasso dalla prima sala. L’installazione multimediale mi rimanda alle Porte di ferro, 983 chilometri a oriente. Risento lo sciabordio delle onde, il profumo del burek; rivedo Sorin, la sua barca, Traiano e Decebalo. Esco, sapendo già che il Danubio mi aspetta, presto, di nuovo.

[testi e fotografie © Gianluca Baronchelli / National Geographic Italia – 2018]

bottom of page