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Viaggio nel Salento medievale

Aggiornamento: 15 giu 2020

Cripte e Chiese tra rito Bizantino e rito Latino.

Santa Caterina d’Alessandria a Galatina © Gianluca Baronchelli

Santa Caterina d’Alessandria a Galatina


Messapi, Greci, Romani, Bizantini, Arabi, Normanni, Svevi, Angioini, Aragonesi, e ancora Akmet Pascià e i Turchi… Il Salento, terra di ulivi e fichi d’india, di falesie, fiordi e scogliere, è stato da sempre terra di conquista ma, come accade in questi casi, anche di profondi scambi culturali e religiosi.

Capo d’Otranto è il punto geografico più a oriente della penisola. È qui che il mare Adriatico si fa stretto; è qui che Oriente e Occidente si guardano più da vicino, e tradizioni diverse si sono fuse in un crogiolo unico, che per certi versi ancora permane. Sono numerosissime in epoca medievale le testimonianze artistiche legate al culto e alla celebrazione greco-bizantina che si intrecciano con quelle legate al rito latino in un percorso ricco di suggestioni e rimandi, che si snoda attraverso cripte e chiese riccamente affrescate. Un viaggio, un itinerario alla scoperta dei tesori dell’arte medievale che ci raccontano questo passaggio attraverso una temporanea convivenza: non semplice sincretismo ma vera e propria osmosi culturale.

La facciata di Santa Sofia e Santo Stefano a Soleto © Gianluca Baronchelli

La facciata di Santa Sofia e Santo Stefano a Soleto


Il nostro cammino parte da Soleto, nella Grecìa salentina. Qui ancora oggi si parla il Grico, così come in altri otto comuni confinanti, scampati all’erosione culturale del tempo. È l’ultimo lembo di grecità che nel Medioevo, tra il VI e l’XI secolo, durante la dominazione bizantina, comprendeva una porzione di Salento molto più estesa. La sintesi perfetta tra queste due culture, quella greco-bizantina e quella latina, è rappresentata dalla piccola chiesa di Santa Sofia e Santo Stefano. Databile tra la metà/fine del XIV secolo e la metà del XV, ha una facciata tipicamente romanica con l’inserimento di alcuni elementi gotici come gli archetti a sesto acuto e il campanile a vela, mentre sono andati perduti il protiro con due colonnine e due leoni stilofori ai lati.

L’affresco absidale di Santa Sofia a Soleto © Gianluca Baronchelli

L’affresco absidale di Santa Sofia


Nell’abside, raffigurazione rarissina per l’occidente e per l’oriente, la figura centrale è rappresentata da Santa Sofia (Cristo Sapienza e Verbo di Dio), una delle figure più affascinanti del cristianesimo: questa scelta ci rivela la grande libertà teologica raggiunta dai papadesbizantini nella Grecìa; per la sua originalità, S. Sofia è stata poi riprodotta nella chiesa privata del Collegio Greco di S. Anastasio a Roma, dove ancora oggi si formano i futuri preti cattolici di rito bizantino.

Sant’Antonio Abate e San Nicola di Mira a Soleto © Gianluca Baronchelli

Sant’Antonio Abate e San Nicola di Mira


È sulla parete sud che ci imbattiamo, però, nell’esempio più evidente di quell’osmosi religiosa e culturale di cui parlavamo: vi sono raffigurati Sant’ Antonio Abate e San Nicola di Mira. Il primo, santo copto eremita, è colto nell’atto di benedire alla maniera latina, vestito con abiti orientali, mentre il secondo, in abiti latini, impone la benedizione secondo la tradizione greca. Nulla meglio di questa scena ci fa capire la vicinanza, la convivenza di queste due tradizioni religiose nel Salento, nonostante lo scisma del 1054.

Il giudizio universale - Santa Sofia e Santo Stefano a Soleto © Gianluca Baronchelli

Il giudizio universale


Sulla controfacciata meritano uno sguardo attento le scene tratte dal giudizio universale, ove i peccatori sono raffigurati con gli strumenti del loro mestiere, intenti a svolgere il lavoro quotidiano. È palese l’intento moralizzatore: non si precipita all’inferno solamente per peccati gravi, ma la salvezza eterna va conquistata quotidianamente attraverso l’applicazione, la probità e la moralità nel lavoro e nei comportamenti. Tutte le scene sono affrescate, ma il diavolo è rappresentato con tecnica a rilievo: quasi un 3D ante litteram, per una presenza reale, incombente e per nulla lontano da noi.

Soleto: La Guglia Orsiniana © Gianluca Baronchelli

La Guglia Orsiniana


Non si può lasciare Soleto senza aver rivolto lo sguardo alla poderosa Guglia Orsiniana, una delle massime torri gotiche d’Italia, monumento nazionale dal 1870. Voluta da Raimondello del Balzo Orsini, Conte di Soleto e più tardi Conte di Lecce e Principe di Taranto, aveva la duplice funzione di mostrare la potenza della famiglia e, soprattutto, divulgare le istanze promulgate dalla Chiesa latina in un contesto profondamente bizantino quale era quello della Terra d’Otranto del XIV-XV secolo. I lavori per l’edificazione della torre iniziarono nel 1397 e proseguirono fino alla metà del Quattrocento. Dopo la morte di Raimondello, avvenuta nel 1406, l’opera fu portata a termine dalla moglie Maria d’Enghien e dal figlio Giovannantonio.

La facciata di Santa Caterina d’Alessandria a Galatina © Gianluca Baronchelli

La facciata di Santa Caterina d’Alessandria a Galatina


Sorta anch’essa per volere del Conte Raimondello del Balzo Orsini mentre Papa Bonifacio IX invitava i francescani alla latinizzazione di queste terre, ancora fortemente legate al rito bizantino, la Basilica di S. Caterina d’Alessandria fu edificata tra il 1384 e il 1391 su una preesistente chiesa bizantina. La facciata a tre cuspidi con coronamento ad archetti rappresenta un’interessante commistione tra lo stile romanico pugliese e il gotico, con influssi normanno e bizantino; a differenza di S. Sofia e S. Stefano a Soleto, qui il protiro e i due leoni stilofori si sono conservati.

Santa Caterina d’Alessandria a Galatina © Gianluca Baronchelli

Santa Caterina d’Alessandria a Galatina


Lascia senza parole la ricchissima decorazione pittorica che ci avvolge appena varcato l’ingresso: un blu profondo, quasi ipnotico fa da sfondo a questi ricchissimi affreschi, commissionati nei primi decenni del Quattrocento da Maria d’Enghien, divisi in ben 150 scene. Le pareti della prima campata e la controfacciata riportano il ciclo dell'Apocalisse, con la raffigurazione delle allegorie conclusive del libro di S. Giovanni, mentre lungo le pareti laterali della seconda campata si sviluppano le storie della Genesi; nella volta trova collocazione il ciclo della Chiesa, con i Sette Sacramenti, e gli affreschi delle pareti della terza campata raffigurano in ventinove scene le Storie della Vita di Cristo, culminanti con le Gerarchie Angeliche che risplendono d’oro sulla volta. Un ciclo di diciassette affreschi è dedicato alla vita di S. Caterina d’Alessandria sulle pareti del presbiterio, mentre la navata laterale sud ci regala il ciclo della rappresentazione della vita di Maria, in un grandioso spot, come direbbe un moderno comunicatore, per il cattolicesimo romano.

Santa Maria della Croce a Casaranello © Gianluca Baronchelli

Santa Maria della Croce a Casaranello


la chiesa di Santa Maria della Croce a Casaranello, originaria del V secolo, fu ampiamente rimaneggiata e ampliata nella sua struttura dal XIII secolo. Sostanziali modifiche al ciclo iconografico vennero apportate dai bizantini attorno al X secolo, sostituendo progressivamente il mosaico con un ciclo pittorico di affreschi, ancora oggi visibili nella navata centrale, e databili fino al XIII secolo. Anche qui, come già visto a S. Sofia e S. Stefano a Soleto, gli affreschi bizantini coesistono con altri di stampo tardo bizantino e gotico, realizzati a partire dal XIV secolo.

Santa Maria della Croce a Casaranello © Gianluca Baronchelli

Santa Maria della Croce a Casaranello


Risalgono all’impianto originario gli splendidi mosaici paleocristiani che ricoprono la volta absidale e il presbiterio. I motivi geometrici della volta absidale sono arricchiti da motivi floreali e zoomorfi di tradizione cristiana, mentre la cupola a campana ci dona la rappresentazione del modello Tolemaico con i nove cieli, costituito da una croce dorata su campo celeste contornata da un cielo stellato a fasce concentriche monocromatiche, sui toni del blu, mentre quella più esterna richiama tutti i colori dell’iride.

Santa Maria della Croce a Casaranello © Gianluca Baronchelli

Santa Maria della Croce a Casaranello


Sulla parete di sinistra l’affresco dell’ultima cena, una delle scene del Nuovo Testamento: oltre al movimento di Giuda, unico senza aureola, e ai nomi scritti in greco, va notata la posizione defilata del Cristo, dipinto all’estrema sinistra della scena. Sempre all’interno della chiesa, i cicli con i martirii di S. Margherita e S. Caterina sono di epoca tardo-sveva mentre sono databili rispettivamente al X e al XV secolo due Madonne col bambino, profondamente differente per abiti, postura e prospettiva.

La chiesa dei SS. Stefani a Vaste © Gianluca Baronchelli

La chiesa dei SS. Stefani a Vaste


La chiesa dei SS. Stefani a Vaste deve il suo nome, con ogni probabilità, a tre diverse rappresentazioni di Santo Stefano, primo protomartire della chiesa cristiana, in successivi cicli di affreschi che coprono un periodo che va dalla fine del X secolo al 1376.

L’edificio, scavato nella roccia in tre navate, è stato fortemente rimaneggiato rispetto alla struttura originaria bizantina, anche e soprattutto a causa di un suo riutilizzo, a partire dal XVIII secolo, con funzioni di stalla, essiccatoio e rimessaggio agricolo. Il pronao, così come svariate nicchie interne, sono andati perduti, mentre sono state aperte alcune finestre per favorire l’entrata di luce e l’areazione del locale. Dal periodo normanno, la cripta venne probabilmente utilizzata per celebrazioni con il doppio culto, greco e latino. Nella porzione absidale della navata centrale si è conservata una pregevole e suggestiva rappresentazione del sogno di S. Giovanni, tratto dai libri dell’Apocalisse.

La cripta di S. Cristina a Carpignano Solentino © Gianluca Baronchelli

La cripta di S. Cristina a Carpignano Solentino


La cripta di S. Cristina, a Carpignano Solentino, conserva la più antica testimonianza di pittura parietale sacra di questo periodo: il gruppo di Teofilatto, risalente al 959, così chiamato dal nome dell’autore. Le pareti della cripta riportano, oltre ai nomi dei santi e dei committenti, anche i nomi di tre pittori: il già citato Teofilatto, Eustazio e Costantino. Il gruppo di Teofilatto ritrae, nell’abside di destra, un Cristo vestito di oro e porpora seduto su un trono. Alla sua destra Maria, ma la figura più interessante è certamente quella alla sua sinistra: un Arcangelo Gabriele che spezza prepotentemente i canoni della staticità bizantina nella sua raffigurazione di trequarti, con gambe e ginocchia flesse, nell’atto di raggiungere Maria.

La cripta di S. Salvatore a Giurdignano © Gianluca Baronchelli

La cripta di S. Salvatore a Giurdignano


La cripta di S. Salvatore, a Giurdignano, rappresenta una delle maggiori espressioni dell’architettura bizantina in Salento. A lungo dimenticata, fu riscoperta solo in seguito al cedimento di una porzione del pavimento della soprastante chiesa di S. Vincenzo. Una volta scese le scale, accedervi oggi, attraverso l’ingresso originario, significa trovarsi proiettati in un’atmosfera e in un’epoca cariche di fede e misticismo. Ha una pianta a tre navate, divisa in nove campate da quattro pilastri cruciformi. Davanti a ciascuno dei tre absidi, un altare ricavato da un unico blocco di pietra.

La cripta di S. Salvatore a Giurdignano © Gianluca Baronchelli

La cripta di S. Salvatore a Giurdignano


Gli affreschi meglio conservati sono quelli del bema, ovvero la zona originariamente riservata all’officiante. Tra questi, una Madonna con Bambino e due arcangeli, tre apostoli e alcune figure forse interpretabili come i committenti dell’opera. Ancora oggi colpisce l’estrema vivacità e brillantezza dei colori, impreziositi dalle maestranze dell’epoca con piccole pietruzze di madreperla. Ciò che però cattura lo sguardo e rende unica questa cripta è la possente volta dell’ipogeo, variamente scolpita: vi troviamo una scala, simbolo di purificazione e mezzo per raggiungere la salvezza, oltre a un motivo con crociere a vela, motivi a cassettoni e a croce greca.

La chiesetta di S. Pietro a Otranto © Gianluca Baronchelli

La chiesetta di S. Pietro a Otranto


La chiesetta di S. Pietro a Otranto, databile tra la fine del IX e la prima metà del X secolo, svolse funzioni di Basilica fino al completamento della Cattedrale dell’Annunziata. La pianta è a croce greca, divisa da quattro colonne in tre navate terminanti in absidi semicircolari. Altre quattro colonne sono inglobate, per metà, nelle pareti laterali. Tra gli affreschi, troviamo nella volta di sinistra l’Ultima Cena e la Lavanda dei Piedi, databili al X secolo, mentre gli altri cicli risalgono alla fine del XII secolo; nell’abside centrale gli affreschi originari sono stati coperti nel 1540 con scene ispirate alla Genesi, alla Pentecoste, alla Natività e all’Anastasis(resurrezione) e con la rappresentazione dei quattro Evangelisti.

La Cattedrale dell’Annunziata a Otranto © Gianluca Baronchelli

La Cattedrale dell’Annunziata a Otranto


Consacrata al culto nel 1088 durante il papato di Urbano II, la Cattedrale dell’Annunziata a Otranto chiude idealmente il nostro itinerario. Costruita su resti architettonici che comprendono un villaggio messapico, una domusromana e un tempio paleocristiano, contenuta quasi a stento nella piccola piazza Basilica, si staglia improvvisa, imprevista, giungendovi dal castello e da via Cenobio Basiliano con la sua mescolanza unica di stili: arabo, romanico, gotico, barocco…

La Cattedrale dell’Annunziata a Otranto © Gianluca Baronchelli

La Cattedrale dell’Annunziata a Otranto


Quattordici colonne dividono la pianta a croce latina in tre navate, ma se ci entrate per la prima volta lo sguardo sarà inevitabilmente calamitato verso il basso, ad ammirare il mosaico pavimentale che ricopre tutta la superficie dell’edificio con i suoi tre alberi della vita, allegoria del genere umano secondo lo spirito della letteratura greca e latina, opera del presbitero Pantaleone, monaco-sacerdote probabilmente appartenuto alla comunità grecofona e formatosi nel vicino monastero di San Nicola di Casole, uno dei centri più fecondi del monachesimo italo-greco in Terra d’Otranto, del quale oggi rimangono, purtroppo, poche rovine.

L'albero della vita - La Cattedrale dell’Annunziata a Otranto © Gianluca Baronchelli

L’albero della vita


Il mosaico fu realizzato nel XII secolo su commissione del vescovo Gionata, e vi sono raffigurati mostri, animali, figure mitologiche, i dodici segni zodiacali attraverso la rappresentazione dei mestieri, e ancora scene ispirate alle sacre scritture. L’albero della navata centrale, privo di radici a sottolineare il suo carattere spirituale, è sorretto da una coppia di elefanti, simbolo di stabilità e di forza. Più ci si avvicina alla cima degli alberi e più la narrazione si fa esoterica, di difficile interpretazione, con infinite spiegazioni tentate dagli studiosi. Nella porzione presbiteriale del mosaico, in un intrecciarsi di storie, Adamo ed Eva, cacciati dal paradiso terrestre, incrociano Re Artù a cavallo di un caprone, fronteggiato da uno strano felino, ipotizzato da alcuni come raffigurazione del mito del gatto di Losanna.

La Cattedrale dell’Annunziata a Otranto © Gianluca Baronchelli

La Cattedrale dell’Annunziata a Otranto


Prima di uscire, è d’obbligo uno sguardo allo splendido soffitto della cattedrale, realizzato in stile moresco con cassettoni in legno dorato su fondo bianco e nero. Risalente al 1698, ha sostituito quello originario a capriate, e non sfugge il contrasto con il resto dell’edificio. Eppure, anche ciò può essere letto come segno di incontro, di dialogo tra mondi profondamente diversi, ma comunque in grado di convivere e armonizzarsi.

[testi e fotografie © Gianluca Baronchelli / National Geographic Italia]

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